I reached #100 very early this morning, at the beginning of the 119th day of the year. Currently, I've read 60 books in Spanish/Spanish translation, 34 in English/English translation, 2 in Serbian translation, and one each in French (bilingual), Portuguese, German translation, and Latin translation. Looks like I'm going to reach my revised 2007 reading goal of 100 books in Spanish and 100 in English. But for those few who are curious as to what I've been reading (and completing), here's the list to date (see the March section for #1-50):
March 16-31
51. Sergei Lukyanenko, Day Watch
52. Mario Vargas Llosa, Pantaleón y las visitadoras (re-read)
53. Gabriel García Márquez, El amor en los tiempos de cólera (re-read)
54. Dan Simmons, The Terror
55. Carlos Cuautémoc Sánchez, Los ojos de mi princesa
56. Thomas Pynchon, Against the Day
57. China Miéville, Un Lun Dun
58. Norman Mailer, The Castle in the Forest
59. Gabriel García Márquez, Los funerales de la Mamá Grande
60. Rubén Darío, Azul.../Cantos de la vida y esperanza (re-read)
61. Gabriel García Márquez, El general en su laberinto (re-read)
62. Jorge Luis Borges, El libro de los seres imaginarios (re-read)
April 1-29
63. Patrick Rothfuss, The Name of the Wind
64. Roberto Arlt, El jorobadito (re-read)
65. Nalo Hopkinson and Uppinder Mehan, So Long Been Dreaming: Postcolonial Science Fiction & Fantasy
66. Jorge Luis Borges, Biblioteca personal
67. José Saramago, El cuento de la isla deconocida
68. Jorge Luis Borges, Qué es el budismo
69. Cormac McCarthy, The Road
70. Gustavo Adolfo Bécquer, Rimas y Leyendas
71. José Saramago, Todos los nombres (re-read)
72. Mario Vargas Llosa, La guerra del fin del mundo (re-read)
73. Salman Rushdie, Fury
74. José Saramago, El hombre duplicado (re-read)
75. Arthur Rimbaud, A Season in Hell and The Drunken Boat (re-read; bilingual French/English)
76. Edmundo Paz Soldán and Alberto Fuguet, Se habla español: Voces latinos en USA (re-read)
77. Gabriel García Márquez, Diatriba de amor contra un hombre sentado (re-read)
78. Ernesto Sabato, Antes del fin
79. Salvador Plascencia, The People of Paper
80. Julio Cortázar, Libro de Manuel
81. Gabriel García Márquez, Ojos de perro azul
82. Sergio Ramírez, Sombras nada más
83. Gabriel García Márquez, El otoño del Patriarca (re-read)
84. Gabriel García Márquez, Vivir para contarla (re-read)
85. Arturo Pérez-Reverte, La reina del sur (re-read)
86. Gabriel García Márquez, Crónica de una muerte anunciada (re-read)
87. Arturo Pérez-Reverte, El capitán Alatriste (re-read)
88. Federico García Lorca, Poeta en Nueva York (re-read)
89. Gabriel García Márquez, La increíble y triste historia de la cándida Eréndira y de su abuela desalmada (re-read)
90. Gabriel García Márquez, Doce cuentos peregrinos
91. Subcommandante Marcos, La historia de los colores (re-read; bilingual Spanish/English)
92. J.R.R. Tolkien, The Children of Húrin
93. Mario Vargas Llosa, Lituma en los Andes
94. Tomás Eloy Martínez, El vuelo de la reina (re-read)
95. Miguel Asturias, El Señor Presidente
96. Alejo Carpentier, Los pasos perdidos (re-read)
97. William Faulkner, The Sound and the Fury (re-read)
98. Umberto Eco and Cardinal Carlo Mario Martini, ¿En qué creen los que no creen?
99. Ernesto Sábato, El túnel
100. Juan Rulfo, Pedro Páramo y El llano en llamas
Some of these I reviewed at wotmania, but most of these I haven't done more than just list them here, mostly due to a lack of time/energy for review writing. Have hopes of reaching #150 by early June and perhaps #200 by the time the school year starts back the first week of August. Maybe I can aim for 300, which I haven't reached since 1997? Only time will tell.
Sunday, April 29, 2007
Subscribe to:
Post Comments (Atom)
2 comments:
http://jose-saramago.blogspot.com/ for everyone
Maurizio Chierici
La scommessa delle Americhe
Un estratto dall'Introduzione
Quel sonno tormentato dagli incubi sembra finito. L'America Latina si sveglia e volta pagina. Dopo le elezioni del 2006 le bandiere sono cambiate ma l'adolescenza della democrazia non ha sciolto le sue inquietudini. Confermano le tendenze i paesi dai governi consolidati a destra e a sinistra - Brasile, Venezuela e Colombia -, mentre la realtà resta incerta in Ecuador e in Nicaragua. Messico e Perù sono in bilico tra immobilità ed evoluzione: annuncia instabilità la differenza impalpabile dei voti, che risentono dello sfinimento delle forze al potere. La destra messicana è condizionata dalle tragedie sociali che il neoliberismo continua ad aggravare e il nuovo presidente Calderón ripropone un paese latino ma anche nordamericano, vicino agli Stati Uniti nel barocco della cultura spagnola; doppio profilo tra convenienze che non sempre coincidono e i problemi che continuano. Il ritorno in Perù di Alan Garcìa tradisce le ambiguità che lo hanno costretto all'esilio; rieccolo con le promesse - fragili, fuori tempo - di una socialdemocrazia ispirata ai fallimenti dei suoi anni Ottanta. Intanto continua la ricerca di un'identità che è stata definita da elezioni per la prima volta trasparenti: passo importante, ma solo un passo. Il merito è delle società che stanno cambiando: si affacciano nuovi protagonisti e movimenti comunitari, presenze inedite delle quali è ancora impossibile valutare il peso politico perché l'assenza degli Stati Uniti, distratti dalla dottrina Bush, non permette di individuare il futuro con ragionevole approssimazione. Se tornano, cosa succede? L'ottimismo dello scrittore uruguayano Jorge Majfud, molto amato e premiato negli Stati Uniti dove insegna Letteratura spagnola all'Università della Georgia, alleggerisce la contrapposizione, ricordando l'ammirazione per gli Stati Uniti, nazione dove trovavano rifugio gli animatori del risorgimento antispagnolo. Nel 1897 la colonia stava svanendo e il sentimento per la «patria umiliata» si aggrappava all'esempio della democrazia di Washington, ma il Novecento rovescia gli umori: i Latini dimenticano le sofferenze dell'impero di Madrid e riscoprono «l'ispanità», pur rifiutando il conservatorismo autoritario franchista, mentre gli intellettuali diffidano ma non diffidano i governanti e la Chiesa ufficiale. La delusione dell'essere passati dalla vecchia colonia alla colonia ricomposta nell'«impero americano» riaccende la rivolta, che nel giudizio di Majfud è destinata a spegnersi: «Il XXI secolo risolverà il tragico conflitto tra l'antica democrazia rappresentativa, che tutela gli interessi delle classi e delle nazioni, e la nascente democrazia diretta, effetto della radicalizzazione, conseguenza di emarginazioni lasciate degenerare e ormai organizzate in strutture interculturali. A metà del nostro secolo la superpotenza sparirà, lasciando posto a contenitori geopolitici nei quali progressivamente confluiranno popoli e nuovi protagonisti. Ciò porterà a una diminuzione degli squilibri sociali, quindi delle incomprensioni che dividono le nazioni. Nell'America Latina unita cambieranno i sentimenti ostili verso gli Stati Uniti a partire dal 2030».
Tra dubbi e speranze comincia la terza transizione dopo guerriglie e rivoluzioni, che hanno rimosso una parte delle strutture del privilegio senza trovare una definizione accettabile della parola democrazia. Negli anni dell'evoluzione industriale i Latini d'America sono stati trascinati dalla vaghezza di ipotesi che distribuivano promesse, bolle di sapone in regioni cresciute economicamente attorno alle oligarchie coniugate alle multinazionali. La transizione segnata dall'insicurezza della guerra fredda voleva dire approccio alla modernità affidata alla tutela dei militari, in apparenza meno corrotti e più pratici dei notabili impigriti nel latifondo. Addestrati nelle accademie dell'altra America, i generali garantivano non solo obbedienza e rapidità nelle decisioni indispensabili a rassicurare gli investimenti stranieri, ma ordine nei loro paesi e fedeltà al «mondo libero» impegnato a contenere la tentazione marxista. Che non era dottrina popolare al di là di proclami e adunate; restava prerogativa di minoranze borghesi dalle radici quasi sempre cattoliche; una borghesia piuttosto rara nel continente, spesso confusa con la classe media compradora, soldi e affari. Solo in Argentina, Cile e Uruguay il tessuto sociale ricordava l'Europa. Il comunismo restava il sogno estremo di chi non aveva speranze e si affidava all'utopia di intellettuali inquieti rappresentandosi nei colori che la disperazione pretendeva; rivolte e guerriglie animate dall'esempio sacrificale di Che Guevara. Il processo per ristabilire la concretezza necessaria ad accelerare il passaggio dall'autoritarismo alla democrazia formale, e dalla democrazia formale a una vera democrazia, ha allungato un'attesa lunga mezzo secolo, segnata da passaggi grotteschi. Hugo Bánzer Suárez prende il potere in Bolivia nel 1970 e la sua repressione diventa il prototipo al quale si ispirano i consiglieri del golpe Pinochet, nel Cile del 1973. Ottenuta l'obbedienza, Bánzer indossa giacca e cravatta e impone le elezioni della paura; il suo regno presidenziale continua con le apparenze di una democrazia parafrasata da un autocrate. Democrazie formali anche in Salvador e Guatemala negli anni Ottanta: i risultati del voto venivano annunciati nelle ambasciate degli Stati Uniti. Unica icona dell'ideologia restava Cuba, isolata, che distribuiva gli entusiasmi di un internazionalismo che sfiorava il continente dove i governi della conservazione anestetizzavano le dottrine dell'Avana con la filosofia della difesa nazionale. La malattia di Fidel e le aperture formali del fratello che lo sostituisce alla presidenza hanno cambiato lo stile ma non la sostanza del governo «profondamente socialista». La linea dei due fratelli non può essere che la stessa e Raùl ha spento il patriottismo dei proclami ma non ammorbidisce i dogmi degli anni Sessanta: «I nostri nemici ci invitano a permettere la nascita di altri partiti. Qualsiasi altro partito sarebbe il partito dell'imperialismo. Non lo permetteremo». La dissidenza resta confinata in ghetti sorvegliati e viene concessa qualche libera uscita ai protagonisti considerati ragionevoli: Morùa, socialdemocratico, e Payá, socialcristiano. Nei mesi della reggenza Raùl ha esasperato accentramento e controlli: ministri, capi dipartimento e alti funzionari devono passare dal suo tavolo con le proposte operative, e ogni disposizione esce direttamente dal Palazzo della Rivoluzione per combattere una corruzione che definisce «scandalosa»e per impegnare la stampa ufficiale a denunciare sfasature e ruberie nelle aree traballanti della vita nazionale: alimentazione, trasporti pubblici, abitazioni. Perché non accogliere le raccomandazioni dei leader cinesi in visita all'Avana? Come mai il modello cinese - simbiosi disinvolta di partito unico e capitalismo d'arrembaggio - viene rifiutato? Forse perché L'Avana è troppo vicina agli Stati Uniti e troppo compromessa nella storia dell'America Latina.
Post a Comment